È tutto un grande mosaico. In ogni pezzo dell’ologramma c’è tutto il disegno completo.
[olo- (dal greco ὅλος cioè “tutto”) + -gramma ( dal greco γράϕω ossia “scrivere”]
Ho selezionato alcuni testi che mi hanno dato la scossa,
scritti nei quali ho riconosciuto la scintilla divina dell’Anima.
Temet Nosce
Conosci te stesso,
oracolo di Delfi
…understanding will blossom,
light will emerge,
possibilities will grow…
-Tao-
“Predisponiti alla meraviglia”
Socrate
“Ricerchi il profondo delle cose, dove l’ironia non scende mai”
(Rilke – Lettere a un giovane poeta – 1903)
“Siamo in tanti, seduti distanti e arrivati in orari distinti
E tutti quanti convinti di essere arrivati per primi”
canzone Lettera al prossimo – Eugenio in via di Gioia
“Prima di conoscere lo Zen
le montagne erano montagne e i fiumi erano fiumi.
Poi ho conosciuto lo Zen e le montagne non erano più montagne,
e i fiumi non erano più fiumi.
Ma quando ebbi l’illuminazione, le montagne tornarono ad essere montagne,
e i fiumi tornarono ad essere fiumi”
detto zen
“Quando però verrà lo Spirito,
Egli vi guiderà alla verità tutta intera…
dirà tutto ciò che avrà udito
e vi annunzierà le cose future”
GV 16,13
… credevi che mille acri fossero molto?
Credevi che la terra fosse molto?
Ti sei esercitato tanto per imparare a leggere?
Ti sei sentito superbo perché intendevi il senso
delle poesie?
Fermati con me fermati questa notte,
e tu capirai l’origine di tutte le poesie,
Possiederai il bene della terra e del sole
(sono rimasti ancora milioni di soli),
Non riceverai più le cose di seconda, terza mano,
non dovrai più guardare attraverso gli (occhi dei morti),
né nutrirti di spettri nei libri,
Non dovrai guardare attraverso gli occhi miei,
né ricevere sensazioni per mezzo mio,
Percepirai d’ogni parte suoni e li filtrerai attraverso te stesso.
Walt Whitman
…e queste sono le ore
più Arco di Trionfo della mia vita.
Mi sono moltiplicato per sentirmi,
per sentirmi ho dovuto sentir tutto,
sono straripato, non ho fatto altro che traboccarmi,
mi sono spogliato, mi sono dato,
e c’è in ogni angolo della mia anima
un altare a un dio differente.
Fernando Pessoa/Alvaro De Campos
tratto da Il passaggio delle Ore
Ho cambiato mille punti di vista
solo per vedermi bene in un posto
Gio Evan
Da ogni minuscolo germoglio nasce un albero con molte fronde.
Ogni fortezza si erige con la posa della prima pietra.
Ogni viaggio comincia con un solo passo.
Lao Tzu
“La terra è un solo paese.
Siamo onde dello stesso mare,
foglie dello stesso albero,
fiori dello stesso giardino… ”
Lucio Anneo Seneca
Osho dice:
“Ogni individuo è così unico che non può essere data nessuna mappa assoluta,
solo suggerimenti, vaghi suggerimenti, indicazioni.
Non sei obbligato a seguire queste istruzioni.
Comprendile, assorbile… e non seguirle in modo fanatico.
Non dire ‘Questo deve essere così.
Se non è così, allora non la seguirò, allora qualcosa è sbagliato.’
Sarà qualcosa del genere…
Avrà una fragranza simile, ma non sarà esattamente lo stesso;
simile, sì, ma non lo stesso. Uno deve esserne consapevole.”
film Manifesto
Desideriamo il passato e il futuro con noi, il passato per raccogliere la nostra malinconia, il futuro per assorbire il nostro instabile ottimismo. Il presente è l’unica cosa attiva. Il passato ed il futuro sono le prostitute che la Natura ci ha fornito. Arte significa fuggire periodicamente da questo bordello. La Vita è sia il passato che il futuro.
Ma il Presente è Arte.
film Coach Carter
La nostra più grande paura non è quella di essere inadeguati, la nostra più grande paura è quella di essere potenti al di là di ogni misura, è la nostra luce non la nostra oscurità che più ci spaventa. Agire da piccolo uomo non aiuta il mondo non c’è nulla di illuminante nel rinchiudersi in sé stessi così che le persone intorno a noi si sentiranno insicure. Noi siamo nati per rendere manifesta la gloria che c’è dentro di noi, non è solo in alcuni di noi è in tutti noi. Se noi lasciamo la nostra luce splendere inconsciamente diamo alle altre persone il permesso di fare lo stesso, appena ci liberiamo dalla nostra paura, la nostra presenza automaticamente libera gli altri.
Timo Cruz
Commento a La coscienza di Zeno di Italo Svevo (redazione virtuale, italialibri.net)
…Il romanzo, oltre che esser costituito per gran parte dal memoriale di Zeno scritto a scopo terapeutico, è anche arricchito dal diario dello stesso. Quando rifiuta la diagnosi medica che lo vuole vittima del complesso edipico, decidendo così di prescinderne, Zeno subisce una sorta di trasformazione; s’accorge d’essere sano e conclude con una visione apocalittica in cui l’uomo, creatore di «mostri distruttivi», appare l’artefice di un disfacimento cosmico che sconvolgerà la terra, lasciando però spazio, forse, a un’utopistica, “sana” rinascita del mondo. Si verifica così un incredibile capovolgimento che rende la concezione del confine tra salute e malattia assai sfumato. La vera forza dell’inetto, rispetto a coloro che non lo sono, è proprio quella di non vivere inchiodato a certezze che potrebbero crollare da un istante all’altro, ma di mettersi, grazie al disagio, in continua discussione con se stesso e con gli altri….
L’ostrica e la perla di Salvatore Brizzi
Come fa l’ostrica perlifera a fabbricare una perla? All’origine c’è un corpo estraneo – spesso un granello di sabbia o un parassita – che cade nel suo guscio. Per difendere i suoi tessuti dall’irritazione, l’ostrica produce e deposita vari strati di calcio che, in combinazione con altri minerali, creano intorno al corpo estraneo questo particolare oggetto prezioso chiamato perla. In pratica, questa inaspettata intrusione produce una forte reazione nell’animale che, non riuscendo ad espellere il corpo estraneo, comincia a secernere una sostanza cristallina liscia e dura, definita madreperla. Fino a quando il corpo estraneo resta all’interno, l’ostrica perlifera continua a secernere intorno ad esso la sostanza madreperlacea, strato su strato. Dopo pochi anni, il risultato sarà quello di una bella e splendente gemma. Mentre le pietre preziose devono essere sottoposte al taglio e levigate per farne emergere la bellezza, le perle non hanno bisogno di questo processo complementare. Nascono da questi molluschi con una naturale iridescenza e una lucentezza che nessun’altra gemma al mondo possiede.
Per l’ostrica quel corpo estraneo è una difficoltà, poiché la irrita. Non lo sopporta e vorrebbe espellerlo. Allora si mette a “lavorare su di sé” nell’unico modo che conosce: trasforma l’oggetto estraneo affinché non rappresenti più un fastidio per lei. La difficoltà la costringe a secernere una materia speciale con la quale avvolge quel granello di sabbia tanto sgradevole, e questo, anziché venire distrutto o espulso, resta all’interno… ma diviene bellissimo e prezioso.
In questo fenomeno naturale sono contenuti i due processi più importanti del lavoro alchemico:
Portare la piena attenzione sulla difficoltà, senza cercare di evitarla;
Produrre dalla propria stessa sostanza una nuova materia capace di trasformare la difficoltà in un oggetto prezioso.
Ogni difficoltà, nel momento in cui smettiamo di volerla allontanare da noi continuando ostinatamente a considerarla un “corpo estraneo”, costringe il nostro Cuore a produrre una sostanza che trasforma la difficoltà in pietra preziosa. Questo effetto è dato dal potere dell’attenzione nel qui-e-ora. Di fronte allo stesso evento proveremo allora un’emozione di gioia e non più sofferenza. In alchimia si parla di “trasmutare il Veleno in Farmaco”.
Nietzsche
Lascia che la giovane anima interroghi la propria vita a partire da questa domanda: «Cosa hai tanto amato finora? Che cosa ha mai elevato la tua anima, cosa l’ha dominata e cosa le ha donato piacere allo stesso tempo?» Metti questi oggetti in fila davanti a te e forse ti riveleranno una legge sulla base della loro natura e del loro ordine: la legge fondamentale del tuo vero sé. Compara questi oggetti, vedi come si completano, si accrescono, si superano, si trasfigurano a vicenda; come formano una scala sui cui gradini sono saliti fino a te; perché il tuo vero sé non giace sepolto profondamente dentro di te, ma piuttosto si innalza incommensurabilmente sopra di te, o almeno al di sopra di quello che comunemente consideri essere il tuo io.
—
[…] Un passo avanti verso la guarigione, e lo spirito libero si avvicina di nuovo alla vita, lentamente, quasi refrattariamente, quasi con diffidenza. C’è ancora calore e tranquillità: i sentimenti e il cameratismo acquistano profondità, venti tremolanti si muovono intorno a lui. Egli sente quasi: sembra come se ora per la prima volta i suoi occhi siano aperti sulle cose che lo circondano. È stupito e si siede silenzioso: dove sono stato? Queste cose vicine e immediate: come gli sembrano cambiate! Guarda grato dietro di sé, grato per il suo vagare, per il suo auto-esilio e la severità, i suoi sguardi lontani e i suoi voli all’aperto nelle fredde altezze… Ora per la prima volta vede veramente se stesso, e quali sorprese nel processo. Quali tremori fino a quel momento! Ma quale gioia nel sentirsi esausto, nella vecchia malattia, le ricadute del convalescente. Come lo delizia, soffrire, sedersi ancora, esercitare la pazienza, giacere nel sole! Chi apprezza così tanto il fatto che anche in inverno arrivi un clima mite, chi si delizia di più nel sole che si posa di traverso sul muro? Sono le creature più riconoscenti al mondo, e anche le più umili, questi convalescenti e lucertole, che strisciano indietro verso la vita: ci sono alcuni tra quelli che non possono lasciare che un giorno passi senza indirizzare qualche canzone di lode alla sua luce che si ritira.
Morte e resurrezione
www.giuseppelatte.it/2013/06/25/red-ogni-elemento-ha-un-suo-colore/
[…] Secondo una versione del mito, la principale, l’araba fenice è divenuto il simbolo della morte e risurrezione; si dice infatti “come l’araba fenice che risorge dalle proprie ceneri”. Dopo aver vissuto per 500 anni, la Fenice sentiva sopraggiungere la sua morte, si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido sulla cima di una quercia o di una palma.
Qui accatastava le più pregiate piante balsamiche, con le quali intrecciava un nido a forma di uovo — grande quanto era in grado di trasportarlo (cosa che stabiliva per prove ed errori). Infine vi si adagiava, lasciava che i raggi del sole l’incendiassero, e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme.
Per via della cannella e della mirra che bruciano, la morte di una fenice è spesso accompagnata da un gradevole profumo. Dal cumulo di cenere emergeva poi una piccola larva (o un uovo) che i raggi solari facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice nell’arco di tre giorni, dopodiché la nuova Fenice, giovane e potente, volava ad Eliopoli e si posava sopra l’albero sacro; per altro si dice anche che dalla gola della Fenice giunse il soffio della vita (il Suono divino, la Musica) che animò il dio.
[…]
La spada nella roccia (cantata da Mago Merlino)
Questo Il Mondo Fa Girar
Dest sinist, dest sinist, qui e lì, notte e dì…
questo il mondo fa girar.
Bianco e ner, falso e ver,
questo il mondo fa girar…
Per ogni qua c’è sempre un là…
per ogni se c’è sempre un ma…
per ogni su c’è sempre un giù…
per ogni men c’è sempre un più.
Più o men, vuoto o pien…
questo il mondo fa girar…
Qua e là, va’ e sta’…
Sempre in alto mira e va…
esci dalla mediocrità !
Non star solo ad aspettar
ciò che per caso puoi trovar.
Se metti buona volontà
il mondo tutto ti darà.
Però se tu non rischierai…
Nulla mai rosicherai.
Per ogni men c’è sempre un più…
per ogni giù c’è sempre un su
e questo il mondo fa girar.
Al mio fianco nessuno cammina di Brandisio Andolfi
Silenzi siderali sopra la sera estiva;
io ne vivo l’incanto
con la mente e lo spirito.
Non ho altri pensieri;
mi avvolge il mistero della notte;
mi abbandono al silenzio.
Cammino lentamente per meglio
sentire un alito fra le ombre:
la voce dei miei morti
che mi giunge e mi scuote.
Ne riconosco il tono.
Al mio fianco nessuno cammina,
ma i passi nel cuore ritmano in simmetria.
Accade tutto in un momento.
Mi fermo per godere l’abbraccio del respiro.
Poi niente più voce né passi
nel silenzio della notte
dove i morti mi sono parsi vivi.
Arabeschi di Antonio Sparzani
Arabeschi
Nei momenti dell’oro
il buon senso quotidiano
non trattiene l’émpito
che preme sullo sterno,
una piena che strazia
prorompe, esonda,
e
alla
fine
distilla
profumati arabeschi,
dal guizzo – rapido – degli occhi
dal tremito – leggero – nella voce
dall’incertezza – d’un istante – del gesto,
un abbandono – vertiginoso – del cuore.
Sorrisi
Vorrei
distillare i sorrisi
lenti
che mi spuntano sulle labbra
mescolarli con i pensieri
che fuggono senza fermarsi ‒
farne un liquido liquore chiaro
screziato
da bere e da condividere
con le creature umane
che amano abbeverarsi insieme a me ‒
e avere comunanza dei sorrisi loro.
Charles Baudelaire – L’albatro
Spesso, per divertirsi, gli uomini d’equipaggio
Catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari,
che seguono, indolenti compagni di viaggio,
Il vascello che va sopra gli abissi amari.
E li hanno appena posti sul ponte della nave
che, inetti e vergognosi, questi re dell’azzurro
pietosamente calano le grandi ali bianche,
come dei remi inerti, accanto ai loro fianchi.
Com’è goffo e maldestro, l’alato viaggiatore!
Lui, prima così bello, com’è comico e brutto!
Qualcuno, con la pipa, gli solletica il becco,
L’altro, arrancando, mima l’infermo che volava!
Il Poeta assomiglia al principe dei nembi
Che abita la tempesta e ride dell’arciere;
Ma esule sulla terra, al centro degli scherni,
Per le ali di gigante non riesce a camminare.
Plotino (Enneadi I, 6, 9)
“Come si può vedere la bellezza dell’anima buona? Ritorna in te stesso e guarda: se non ti vedi ancora interiormente bello, fa come lo scultore di una statua che deve diventar bella. Egli toglie, raschia, liscia, ripulisce finché nel marmo appaia la bella immagine: come lui, leva tu il superfluo, raddrizza ciò che è obliquo, purifica ciò che è fosco e rendilo brillante e non smettere di scolpire la tua propria statua interiore, finché non ti si manifesti lo splendore divino della virtù e non veda la temperanza sedere su un trono sacro. …Se tu sei diventato completamente una luce vera, non una luce di grandezza o di forma misurabile che può diminuire o aumentare indefinitamente, ma una luce del tutto senza misura, perché superiore a ogni misura e a ogni qualità; se ti vedi in questo modo, tu sei diventato ormai una potenza veggente e puoi confidare in te stesso. Anche rimanendo quaggiù tu sei salito né più hai bisogno di chi ti guidi; fissa lo sguardo e guarda: questo soltanto è l’occhio che vede la grande bellezza. Ma se tu vieni a contemplare lordo di cattiveria e non ancora purificato oppure debole, per la tua poca forza non puoi guardare gli oggetti assai brillanti e non vedi nulla, anche se ti sia posto innanzi un oggetto che può essere veduto. È necessario, infatti, che l’occhio si faccia uguale e simile all’oggetto per accostarsi a contemplarlo. L’occhio non vedrebbe mai il sole se non fosse già simile al sole, né un’anima vedrebbe il bello se non fosse bella. Ognuno diventi dunque anzitutto deiforme e bello, se vuole contemplare Dio e la Bellezza”
Lettere a un giovane poeta (Franz Xaver Kappus) di R. M. Rilke
Parigi, 17 febbraio 1903
Egregio signore,
la sua lettera mi è giunta solo alcuni giorni fa. Voglio ringraziarla per la sua grande e cara fiducia. Poco altro posso. Non posso addentrarmi nella natura dei suoi versi, poiché ogni intenzione critica è troppo lungi da me. Nulla può toccare tanto poco un’opera d’arte quanto un commento critico: se ne ottengono sempre più o meno felici malintesi. Le cose non si possono tutte afferrare e dire come d’abitudine ci vorrebbero far credere; la maggior parte degli eventi sono indicibili, si compiono in uno spazio inaccesso alla parola, e più indicibili di tutto sono le opere d’arte, esistenze piene di mistero la cui vita, accanto all’effimera nostra, perdura. Ciò premesso, mi sia solo consentito dirle che i suoi versi, pur non avendo una natura loro propria, hanno però sommessi e velati germi di una personalità. Con più chiarezza lo avverto nell’ultima poesia, La mia anima. Qui, qualcosa di proprio vuole farsi metodo e parola. E nella bella poesia A Leopardi affiora forse una certa affinità con quel grande solitario. Eppure quei poemi sono ancora privi di una loro autonoma fisionomia, anche l’ultimo e quello a Leopardi. La sua gentile lettera che li accompagnava; non manca di spiegarmi varie pecche che ho percepito nel leggere i suoi versi, senza però potervi dare un nome. Lei domanda se i suoi versi siano buoni. Lo domanda a me. Prima lo ha domandato ad altri. Li invia alle riviste. Li confronta con altre poesie, e si allarma se certe redazioni rifiutano le sue prove. Ora, poiché mi ha autorizzato a consigliarla, le chiedo di rinunciare a tutto questo. Lei guarda all’esterno, ed è appunto questo che ora non dovrebbe fare.Nessuno può darle consiglio o aiuto, nessuno. Non v’è che un mezzo. Guardi dentro di sé. Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere; verifichi se esso protenda le radici nel punto più profondo del suo cuore; confessi a se stesso: morirebbe, se le fosse negato di scrivere? Questo soprattutto: si domandi, nell’ora più quieta della sua notte: devo scrivere? Frughi dentro di sé alla ricerca di una profonda risposta. E se sarà di assenso, se lei potrà affrontare con un forte e semplice «io devo» questa grave domanda, allora costruisca la sua vita secondo questa necessità. La sua vita, fin dentro la sua ora più indifferente e misera, deve farsi insegna e testimone di questa urgenza. Allora si avvicini alla natura. Allora cerchi, come un primo uomo, di dire ciò che vede e vive e ama e perde. Non scriva poesie d’amore; eviti dapprima quelle forme che sono troppo correnti e comuni: sono le più difficili, poiché serve una forza grande e già matura per dare un proprio contributo dove sono in abbondanza tradizioni buone e in parte ottime. Perciò rifugga dai motivi più diffusi verso quelli che le offre il suo stesso quotidiano; descriva le sue tristezze e aspirazioni, i pensieri effimeri e la fede in una bellezza qualunque; descriva tutto questo con intima, sommessa, umile sincerità, e usi, per esprimersi, le cose che le stanno intorno, le immagini dei suoi sogni e gli oggetti del suo ricordo. Se la sua giornata le sembra povera, non la accusi; accusi se stesso, si dica che non è abbastanza poeta da evocarne le ricchezze; poiché per chi crea non esiste povertà, né vi sono luoghi indifferenti o miseri. E se anche si trovasse in una prigione; le cui pareti non lasciassero trapelare ai suoi sensi i rumori del mondo, non le, rimarrebbe forse la sua infanzia, quella ricchezza squisita, regale, quello scrigno di ricordi? Rivolga lì la sua attenzione. Cerchi di far emergere le sensazioni sommerse di quell’ampio passato; la sua personalità si rinsalderà, la sua solitudine si farà più ampia e diverrà una casa al crepuscolo, chiusa al lontano rumore degli altri. E se da questa introversione, da questo immergersi nel proprio mondo sorgono versi, allora non le verrà in mente di chiedere a qualcuno se siano buoni versi. Né tenterà di interessare le riviste a quei lavori: poiché in essi lei vedrà il suo caro e naturale possesso, una scheggia e un suono della sua vita. Un’opera d’arte è buona se nasce da necessità. È questa natura della sua origine a giudicarla: altro non v’è. E dunque, egregio signore, non avevo da darle altro consiglio che questo: guardi dentro di sé, esplori le profondità da cui scaturisce la sua vita; a quella fonte troverà risposta alla domanda se lei debba creare. La accetti come suona, senza stare a interpretarla. Si vedrà forse che è chiamato a essere artista. Allora prenda su di sé la sorte, e la sopporti, ne porti il peso e la grandezza, senza mai ambire al premio che può venire dall’esterno. Poiché chi crea deve essere un mondo per sé e in sé trovare tutto, e nella natura sua compagna. Forse, però, anche dopo questa discesa nel suo intimo e nella sua solitudine, dovrà rinunciare a diventare un poeta (basta, come dicevo, sentire che senza scrivere si potrebbe vivere, perché non sia concesso). Ma anche allora, l’introversione che le chiedo non sarà stata vana. La sua vita in ogni caso troverà, da quel momento, proprie vie; e che possano essere buone, ricche e ampie, questo io le auguro più di quanto sappia dire. Cos’altro dirle? Mi pare tutto equamente rilevato; e poi, in fondo, volevo solo consigliarla di seguire silenzioso e serio il suo sviluppo; non lo può turbare più violentemente che guardando all’esterno, e dall’esterno aspettando risposta a domande cui solo il sentimento suo più intimo, nella sua ora più quieta, può forse rispondere. Mi ha rallegrato trovare nel suo scritto il nome del professor Horacek; serbo per quell’amabile studioso grande stima, e una gratitudine che non teme gli anni. Voglia, la prego, dirgli di questo mio sentimento; è molto buono a ricordarsi ancora di me, e lo so apprezzare. Le restituisco inoltre i versi che gentilmente mi ha voluto confidare. E la ringrazio ancora per la grandezza e la cordialità della sua fiducia, di cui con questa risposta sincera, e data in buona fede, ho cercato di rendermi un po’ più degno di quanto io, un estraneo, non sia.
Suo devotissimo Rainer Maria Rilke
If by Rudyard Kipling
(‘Brother Square-Toes’—Rewards and Fairies)
If you can keep your head when all about you
Are losing theirs and blaming it on you,
If you can trust yourself when all men doubt you,
But make allowance for their doubting too;
If you can wait and not be tired by waiting,
Or being lied about, don’t deal in lies,
Or being hated, don’t give way to hating,
And yet don’t look too good, nor talk too wise:
If you can dream—and not make dreams your master;
If you can think—and not make thoughts your aim;
If you can meet with Triumph and Disaster
And treat those two impostors just the same;
If you can bear to hear the truth you’ve spoken
Twisted by knaves to make a trap for fools,
Or watch the things you gave your life to, broken,
And stoop and build ’em up with worn-out tools:
If you can make one heap of all your winnings
And risk it on one turn of pitch-and-toss,
And lose, and start again at your beginnings
And never breathe a word about your loss;
If you can force your heart and nerve and sinew
To serve your turn long after they are gone,
And so hold on when there is nothing in you
Except the Will which says to them: ‘Hold on!’
If you can talk with crowds and keep your virtue,
Or walk with Kings—nor lose the common touch,
If neither foes nor loving friends can hurt you,
If all men count with you, but none too much;
If you can fill the unforgiving minute
With sixty seconds’ worth of distance run,
Yours is the Earth and everything that’s in it,
And—which is more—you’ll be a Man, my son!
Se saprai mantenere la calma quando tutti intorno a te
la perdono, e te ne fanno colpa.
Se saprai avere fiducia in te stesso quando tutti ne dubitano,
tenendo però considerazione anche del loro dubbio.
Se saprai aspettare senza stancarti di aspettare,
O essendo calunniato, non rispondere con calunnia,
O essendo odiato, non dare spazio all’odio,
Senza tuttavia sembrare troppo buono, né parlare troppo saggio;
Se saprai sognare, senza fare del sogno il tuo padrone;
Se saprai pensare, senza fare del pensiero il tuo scopo,
Se saprai confrontarti con Trionfo e Rovina
E trattare allo stesso modo questi due impostori.
Se riuscirai a sopportare di sentire le verità che hai detto
Distorte dai furfanti per abbindolare gli sciocchi,
O a guardare le cose per le quali hai dato la vita, distrutte,
E piegarti a ricostruirle con i tuoi logori arnesi.
Se saprai fare un solo mucchio di tutte le tue fortune
E rischiarlo in un unico lancio a testa e croce,
E perdere, e ricominciare di nuovo dal principio
senza mai far parola della tua perdita.
Se saprai serrare il tuo cuore, tendini e nervi
nel servire il tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
E a tenere duro quando in te non c’è più nulla
Se non la Volontà che dice loro: “Tenete duro!”
Se saprai parlare alle folle senza perdere la tua virtù,
O passeggiare con i Re, rimanendo te stesso,
Se né i nemici né gli amici più cari potranno ferirti,
Se per te ogni persona conterà, ma nessuno troppo.
Se saprai riempire ogni inesorabile minuto
Dando valore ad ognuno dei sessanta secondi,
Tua sarà la Terra e tutto ciò che è in essa,
E — quel che più conta — sarai un Uomo, figlio mio!
»
Platone, Opere, vol. II, Laterza, Bari, 1967, pagg. 339-342)
– In séguito, continuai, paragona la nostra natura, per ciò che riguarda educazione e mancanza di educazione, a un’immagine come questa.
Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sí da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d’un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada.
Lungo questa pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini.
– Vedo, rispose.
– Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e, come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono.
– Strana immagine è la tua, disse, e strani sono quei prigionieri.
– Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere, anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte?
– E come possono, replicò, se sono costretti a tenere immobile il [b] capo per tutta la vita?
– E per gli oggetti trasportati non è lo stesso?
– Sicuramente.
– Se quei prigionieri potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni?
– Per forza.
– E se la prigione avesse pure un’eco dalla parete di fronte? Ogni volta che uno dei passanti facesse sentire la sua voce, credi che la giudicherebbero diversa da quella dell’ombra che passa?
– Io no, per Zeus!, rispose. – Per tali persone insomma, feci io, la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti artificiali.
– Per forza, ammise.
– Esamina ora, ripresi, come potrebbero sciogliersi dalle catene e guarire dall’incoscienza. Ammetti che capitasse loro naturalmente un caso come questo: che uno fosse sciolto, costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce; e che cosí facendo provasse dolore e il barbaglio lo rendesse incapace di scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Che cosa credi che risponderebbe, se gli si dicesse che prima vedeva vacuità prive di senso, ma che ora, essendo piú vicino a ciò che è ed essendo rivolto verso oggetti aventi piú essere, può vedere meglio?
e se, mostrandogli anche ciascuno degli oggetti che passano, gli si domandasse e lo si costringesse a rispondere che cosa è? Non credi che rimarrebbe dubbioso e giudicherebbe piú vere le cose che vedeva prima di quelle che gli fossero mostrate adesso?
– Certo, rispose.
– E se lo si costringesse a guardare la luce stessa, non sentirebbe male agli occhi e non fuggirebbe volgendosi verso gli oggetti di cui può sostenere la vista? e non li giudicherebbe realmente piú chiari di quelli che gli fossero mostrati?
– È cosí, rispose.
– Se poi, continuai, lo si trascinasse via di lí a forza, su per l’ascesa scabra ed erta, e non lo si lasciasse prima di averlo tratto alla luce del sole, non ne soffrirebbe e non s’irriterebbe di essere trascinato? E, giunto alla luce, essendo i suoi occhi abbagliati, non potrebbe vedere nemmeno una delle cose che ora sono dette vere.
– Non potrebbe, certo, rispose, almeno all’improvviso.
– Dovrebbe, credo, abituarvisi, se vuole vedere il mondo superiore. E prima osserverà, molto facilmente, le ombre e poi le immagini degli esseri umani e degli altri oggetti nei loro riflessi nell’acqua, e infine gli oggetti stessi; da questi poi, volgendo lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, potrà contemplare di notte i corpi celesti e il cielo stesso piú facilmente che durante il giorno il sole e la luce del sole.
– Come no?
– Alla fine, credo, potrà osservare e contemplare quale è veramente il sole, non le sue immagini nelle acque o su altra superficie, ma il sole in se stesso, nella regione che gli è propria.
– Per forza, disse.
– Dopo di che, parlando del sole, potrebbe già concludere che è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile, e ad essere [c] causa, in certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedevano.
– È chiaro, rispose, che con simili esperienze concluderà cosí.
– E ricordandosi della sua prima dimora e della sapienza che aveva colà e di quei suoi compagni di prigionia, non credi che si sentirebbe felice del mutamento e proverebbe pietà per loro?
– Certo.
– Quanto agli onori ed elogi che eventualmente si scambiavano allora, e ai primi riservati a chi fosse piú acuto nell’osservare gli oggetti che passavano e piú rammentasse quanti ne solevano sfilare prima e poi e insieme, indovinandone perciò il successivo, credi che li ambirebbe e che invidierebbe quelli che tra i prigionieri avessero onori e potenza? o che si troverebbe nella condizione detta da Omero e preferirebbe “altrui per salario servir da contadino, uomo sia pur senza sostanza”, e patire di tutto piuttosto che avere quelle opinioni e vivere in quel modo?
– Cosí penso anch’io, rispose; [e] accetterebbe di patire di tutto piuttosto che vivere in quel modo.
– Rifletti ora anche su quest’altro punto, feci io. Se il nostro uomo ridiscendesse e si rimettesse a sedere sul medesimo sedile, non avrebbe gli occhi pieni di tenebra, venendo all’improvviso dal sole?
– Sí, certo, rispose.
E se dovesse discernere nuovamente quelle ombre e contendere con coloro che sono rimasti sempre prigionieri, nel periodo in cui ha la vista offuscata, prima che gli occhi tornino allo stato normale? e se questo periodo in cui rifà l’abitudine fosse piuttosto lungo? Non sarebbe egli allora oggetto di riso? e non si direbbe di lui che dalla sua ascesa torna con gli occhi rovinati e che non vale neppure la pena di tentare di andar su? E chi prendesse a sciogliere e a condurre su quei prigionieri, forse che non l’ucciderebbero, se potessero averlo tra le mani e ammazzarlo?
– Certamente, rispose. […]
Il Tuono, Mente Perfetta
Io fui mandata dal Potere,
ed Io sono venuta presso coloro che riflettono
su di me,
ed Io sono stata trovata tra quelli
che mi cercano.
Cercatemi, voi che meditate su di me,
e voi uditori, ascoltatemi.
Voi che mi state aspettando,
portatemi a voi.
E non allontanatemi dalla vostra vista.
E non fate in modo che la vostra voce mi possa odiare, e neppure il vostro ascolto. Non ignoratemi, ovunque ed in ogni tempo. State in guardia!
Non ignoratemi.
Perché Io sono la prima e l’ultima.
Io sono l’onorata e la disprezzata.
Io sono la prostituta e la santa.
Io sono la sposa e la vergine.
Io sono la madre e la figlia.
Io sono le membra di mia madre.
Io sono la sterile
E molti sono i miei figli.
Io sono colei il cui matrimonio è grande,
eppure Io non ho marito.
Io sono la levatrice e colei che non partorisce.
Io sono il conforto dei miei dolori del parto.
Io sono la sposa e lo sposo,
ed è mio marito che mi generò.
Io sono la madre di mio padre
E la sorella di mio marito
Ed egli è la mia progenie.
Io sono la schiava di lui, il quale mi istruì.
Io sono il sovrano della mia progenie.
Ma egli è colui il quale mi generò prima del tempo, nel giorno della nascita.
Ed egli è la mia progenie, a suo tempo,
ed il mio potere proviene da lui.
Io sono l’appoggio del suo potere nella sua giovinezza, ed egli il sostegno della mia vecchiaia.
E qualsiasi cosa egli voglia, mi succede.
Io sono il silenzio che è incomprensibile,
e l’idea il cui ricordo
è costante.
Io sono la voce il cui suono è multiforme
e la parola la cui apparizione
è molteplice.
Io sono la pronuncia del mio nome.
Perché, voi che mi odiate, mi amate,
ed odiate quelli che mi amano?
Voi che mi rinnegate, mi riconoscete,
e voi che mi riconoscete, mi rifiutate.
Voi che dite la verità su di me, mentite su di me,
e voi che avete mentito su di me,
dite la verità.
Voi che mi conoscete, ignoratemi,
e quelli che non mi hanno conosciuta,
lasciate che mi conoscano.
Perché Io sono il sapere e l’ignoranza.
Io sono la vergogna e l’impudenza.
Io sono la svergognata; Io sono colei che si vergogna.
Io sono la forza e la paura.
Io sono la guerra e la pace.
Prestatemi attenzione.
Io sono la disonorata e la grande.
Prestate attenzione alla mia povertà e alla mia ricchezza. Non siate arroganti con me quando Io sono gettata fuori sulla terra,
e voi mi troverete in quelli che stanno per
giungere.
E non cercatemi nel mucchio di letame
Non andate lasciandomi esiliata fuori,
e voi mi troverete nei regni.
E non cercatemi quando sono gettata fuori tra
coloro che
Sono disgraziati e nei luoghi più miseri,
Non ridete di me.
E non lasciatemi fuori tra quelli che sono uccisi nella violenza.
Ma Io, Io sono compassionevole ed Io sono crudele.
State in guardia!
Non odiate la mia obbedienza
E non amate il mio auto – controllo.
Nella mia debolezza, non abbandonatemi,
e non siate spaventati del mio potere.
Perché voi disprezzate la mia paura
E maledite la mia gloria?
Ma Io sono colei che esiste in tutti i timori
E la forza nel tremare.
Io sono quella che è debole,
ed Io sto bene in un luogo piacevole.
Io sono la dissennata ed Io sono la saggia.
Perché mi avete odiata nelle vostre assemblee? Perché Io dovrò essere silenziosa tra quelli che sono silenziosi, ed Io dovrò apparire e parlare,
Perché quindi mi avete odiata, voi Greci?
Perché Io sono una barbara tra i
barbari?
Perché Io sono la saggezza dei Greci
Ed il sapere dei Barbari.
Io sono il giudizio dei Greci e dei barbari.
Io sono quella la cui immagine è grande in Egitto
e quella che non ha immagine
tra i barbari.
Io sono quella che è stata odiata ovunque
e quella che è stata amata in ogni luogo.
Io sono quella che essi chiamano Vita,
e che voi avete chiamato Morte.
Io sono quella che essi chiamano Legge,
e voi avete chiamato Illegalità.
Io sono quella che voi avete inseguito,
ed Io sono colei che avete
afferrato.
Io sono quella che avete dispersa,
eppure mi avete raccolta insieme.
Io sono quella di cui prima vi siete vergognati,
e voi siete stati svergognati verso di me.
Io sono colei che non riceve festeggiamenti,
ed Io sono quella le cui celebrazioni sono molte.
Io , Io sono senza Dio,
ed Io sono quella il cui Dio è grande.
Io sono quella sui cui avete meditato,
eppure voi mi avete disprezzata.
Io sono incolta,
ed essi imparano da me.
Io sono quella che voi avete disprezzata,
eppure riflettete su di me.
Io sono quella dalla quale vi siete nascosti,
eppure voi apparite a me.
Ma se mai vi nascondeste,
Io stessa apparirò.
Perché se mai voi appariste,
Io stessa mi nasconderò da voi.
Quelli che hanno(…) ad esso (…) insensibilmente.
Prendetemi ( …conoscenza )dal dolore
Ed accoglietemi
Da ciò che è conoscenza e dolore.
Ed accoglietemi dai luoghi che sono brutti e in rovina,
e sottratti da quelli che sono buoni
anche se in bruttezza.
Fuori dalla vergogna, portatemi a voi sfacciatamente,
e fuori dalla sfrontatezza e dalla vergogna,
riprendete le mie membra in voi.
E venite a promuovermi, voi che mi conoscete
E voi che conoscete le mie membra,
e stabilite la Grande tra
le prime piccole creature.
Venite ad appoggiarmi presso l’infanzia,
e non disprezzatela perché è piccola
e piccina.
E non distaccate le grandezze in diverse parti dalle piccolezze,
perché le piccolezze sono conosciute dalle
grandezze.
Perché mi maledite e mi venerate?
Voi avete recato offesa e voi avete avuto misericordia. Non separatemi dai primi che avete
conosciuto.
E non allontanate, né scacciate alcuno
[…] scacciare voi e […conoscer] lo per niente.
[…].
Ciò che è mio […].
Conosco quelli che vennero per primi e quelli dopo di loro conoscono me.
Ma Io sono la Mente [Perfetta] ed il riposo di […]. Io sono la conoscenza della mia domanda, E la scoperta di quelli che aspirano a me,
e il comando di quelli che di me domandano,
e il potere dei poteri nella mia scienza
degli angeli, che sono stati mandati al mio ordine,
e degli dei nelle loro ere dal mio consiglio,
e degli spiriti di ogni uomo che esiste con me,
e delle donne che dimorano dentro di me.
Io sono quella che è venerata, e che è pregata,
e che è disprezzata sdegnosamente.
Io sono la pace,
e la guerra è venuta per causa mia.
E Io sono uno straniero e un compatriota.
Io sono la sostanza e quello che non ha sostanza.
Quelli che sono senza unione con me sono ignari di me,
e quelli che sono nella mia sostanza sono quelli che conoscono me.
Quelli che sono vicini a me sono stati ignari di me,
e quelli che sono distanti da me sono quelli che mi hanno conosciuto.
Nel giorno in cui Io sono vicino a te, tu sei distante da me,
e nel giorno in cui Io sono distante da te, Io sono vicino a te.
[Io sono …] dentro.
[Io sono …] delle nature.
Io sono […] della creazione degli spiriti.
[…] preghiera delle anime.
Io sono il controllo e l’incontrollabile.
Io sono l’unione e la dissoluzione.
Io sono ciò che è perenne ed Io sono la dissoluzione della materia. Io sono quella sotto,
ed essi vengono sopra di me.
Io sono il giudizio e l’assoluzione.
Io, Io sono senza peccato,
e la radice del peccato deriva da me.
Io bramo avidamente l’apparenza esteriore,
e il proprio controllo interiore esiste dentro di me.
Io sono l’ascolto accessibile a tutti
E il discorso che non può essere capito.
Io sono un muto che proprio non parla,
e grande è la moltitudine delle mie parole.
Ascoltatemi in grazia, e imparate di me con approssimazione. Io sono colei che urla,
e Io sono rigettata sopra la faccia della terra.
Io preparo il pane e la mia mente dentro.
Io sono la conoscenza del mio nome.
Io sono quella che grida,
ed Io ascolto.
Io appaio e [… ] cammino in [… ] sigillo del mio [… ].
Io sono [… ] la difesa [… ].
Io sono quella che è chiamata Verità
e ingiustizia [… ].
Voi mi onorate [… ] e voi mormorate contro di me.
Voi che siete conquistati, giudicate loro (chi conquista voi)
prima che essi esprimano sentenza contro di voi,
perché il giudizio e la parzialità risiedono in voi.
Se voi siete condannati da questo, chi vi affrancherà?
Oppure, se voi sarete liberati da questo, chi sarà in grado di tenervi in custodia?
Perché ciò che è dentro di voi è quello che a voi è fuori,
e quello che vi avvolge all’esterno
è quello che dà la forma all’interno di voi.
E quello che voi vedete fuori di voi, voi lo vedete dentro di voi; esso è evidente ed è il vostro vestito.
Ascoltatemi, voi che mi udite,
e imparate le mie parole, voi che mi conoscete.
Io sono la conoscenza che è accessibile a chiunque:
Io sono il discorso che non può essere compreso.
Io sono il nome del suono
e il suono del nome.
Io sono il segno della lettera
e la destinazione della separazione
Ed Io […].
(3 linee mancanti)
[…] luce […].
[…] ascoltatori […] a voi
[…] il grande potere.
E […] non rimuoverà il nome.
[…] all’entità che mi ha creato.
E Io dirò il suo nome.
Fate attenzione allora alle sue parole
e a tutte le scritture che sono state composte.
Prestate attenzione allora, voi che ascoltate
ed anche voi, gli angeli e quelli che sono stati inviati,
e voi spiriti che vi siete levati dai morti.
Perché Io sono quella che da sola esiste,
ed Io non ho alcuno che mi giudicherà.
Perché sono molti i gradevoli aspetti che esistono in numerosi peccati
e smoderatezze
e passioni scandalose
e piaceri momentanei
che (gli uomini) assaporano finché non diventano equilibrati e salgono al loro luogo di riposo.
E loro mi troveranno lì
ed essi vivranno
ed essi non moriranno di nuovo.
[La traduzione, curata * Xenia e ddrwydd del Tempio di Ara, cui va il nostro più sentito ringraziamento, é tratta dal log di WiccaNew é deriva da una trascrizione inglese dal copto di George W. MacRae S. J. così come pubblicata in un libro edito da James M. Robinson, The Nag Hammadi Library, HarperCollins, San Francisco, 1990.]
Fonte del testo: https://digilander.libero.it/sabato/documenti/tuonomenteperfetta.htm
Salmo 139:7-16
7 Dove me ne andrò lungi dal tuo spirito? e dove fuggirò dal tuo cospetto? 8 Se salgo in cielo tu vi sei; se mi metto a giacere nel soggiorno dei morti, eccoti quivi. 9 Se prendo le ali dell’alba e vo a dimorare all’estremità del mare, 10 anche quivi mi condurrà la tua mano, e la tua destra mi afferrerà. 11 Se dico: Certo le tenebre mi nasconderanno, e la luce diventerà notte intorno a me, 12 le tenebre stesse non possono nasconderti nulla, e la notte risplende come il giorno; le tenebre e la luce son tutt’uno per te. 13 Poiché sei tu che hai formato le mie reni, che m’hai intessuto nel seno di mia madre. 14 Io ti celebrerò, perché sono stato fatto in modo maraviglioso, stupendo. Maravigliose sono le tue opere, e l’anima mia lo sa molto bene. 15 Le mie ossa non t’erano nascoste, quand’io fui formato in occulto e tessuto nelle parti più basse della terra. 16 I tuoi occhi videro la massa informe del mio corpo; e nel tuo libro erano tutti scritti i giorni che m’eran destinati, quando nessun d’essi era sorto ancora.